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teatri storici italiani: un patrimonio da tutelare

12/2/2018

1 Commento

 

Senza dubbio alcuno i teatri storici costituiscono un patrimonio architettonico d'arte in senso ampio (contenitori d'arte per l'arte s'è detto) di enorme rilevanza per tutto il territorio nazionale. In particolare, con la presenza di oltre ottanta teatri storici distribuiti sul suo territorio, l'Emilia-Romagna - analogamente ad altre regioni confinanti quali Toscana, Veneto e Marche - può con giusta ragione definirsi "terra di teatri", indicando con questa espressione oltre che la ricchezza di vestigia architettoniche anche la diffusione di profonde tradizioni teatrali.
Agli inizi degli anni Ottanta - in un periodo contrassegnato da un notevole fervore conoscitivo e di rinnovata attenzione per il bene culturale, quando si comincia a comprendere appieno, da parte delle amministrazioni locali, l'importanza di un patrimonio architettonico di grande valore, non soltanto sotto il profilo strettamente artistico ma anche sociale - i teatri storici sono stati oggetto di una delle prime e più rilevanti indagini condotte dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC). E questo accadeva all'indomani di una sciagurata stagione segnata dalla spinta consumistica del cosiddetto boom economico che in breve tempo aveva prodotto la concellazione fisica di un ingente patrimonio storico e architettonico, per motivi speculativi o più semplicemente per finalità di tipo utilitaristico (quando ciò non era avvenuto a causa dei precedenti eventi bellici).
Numerosi edifici storici, tradizionali punti di riferimento dei centri storici, rapidamente svuotati delle loro funzioni e perduto il loro ruolo nel contesto sociale che li aveva voluti ed edificati - ciò è stato specificamente fatale per numerosi teatri - furono lasciati in uno stato d'abbandono tale che, dopo averne ridotto valore e potenzialità, ne determinò inesorabilmente il destino o ne rese successivamente più complesso e oneroso il recupero.
Il censimento dell'IBC si collocava in un periodo in cui il teatro, dopo un parziale declino, ricominciava a vivere e gli spettacoli tornavano a susseguirsi con notevole vitalità, un momento di notevole fermento caratterizzato altresì da una significativa propensione alla sperimentazione. Tra parentesi: pochi anni prima era stata istituita, per la prima volta in Italia, una facoltà universitaria dedicata all'arte, alla musica e allo spettacolo con sede a Bologna, il DAMS.
La ricognizione di questo censimento, i cui risultati furono pubblicizzati attraverso una grande mostra documentaria e un ampio catalogo, consentiva di portare a conoscenza sia degli amministratori che dei cittadini l'ingente patrimonio, sollecitandoli implicitamente a porre maggiore attenzione sui beni indagati e a promuoverne la salvaguardia secondo corrette linee d'intervento. Una delle principali finalità di questa operazione era infatti quella di promuovere un progetto di recupero, intellettuale prima ancora che materiale, di quella realtà storica rappresentata dall'edificio teatrale, luogo di sedimentazione di specifiche conoscenze tecniche ma anche ambito produttivo di azioni culturali.
L'indagine condotta capillarmente su tutto il territorio regionale produsse una notevole mole di dati, dando conto dell'esistenza di un patrimonio straordinario benché pesantemente provato dal disinteresse e dall'incuria. Risultò infatti quasi dimezzato il numero di teatri ancora esistenti, se si tiene conto che un censimento effettuato nel 1870 dal Ministero degli interni del giovane Governo unitario aveva rilevato in Emilia-Romagna centotrenta strutture destinate ai pubblici spettacoli, il cui insieme costituiva un reticolo efficiente e vivace, contribuendo a rendere il teatro una componente primaria della vita sociale e culturale delle grandi città come dei piccoli paesi.
I settantadue teatri storici rilevati dall'IBC nel 1982 erano dunque quanto restava di un fenomeno vasto e imponente che aveva coinvolto, a partire dalla seconda metà del secolo XVII (ma in taluni casi più precocemente), non solo i maggiori centri urbani ma anche quelli minori.
È rilevabile nella documentazione archivistica di città e cittadine tracce più o meno consistenti di un'attività teatrale, preferibilmente svolta durante il carnevale o nel corso di importanti fiere, che sovente coinvolgeva la colta "gioventù" locale spesso aggregata in accademie e sovvenzionata dal pubblico danaro, oppure le compagnie di giro, cui veniva concesso l'uso di spazi pubblici adeguati per il temporaneo allestimento di spettacoli.
Quando, in seguito, si farà più pressante l'esigenza di poter disporre di un teatro vero e proprio, gli stessi spazi potranno essere strutturati in vere e proprie sale teatrali stabili, preferibilmente secondo il cosiddetto modello all'italiana, o sarà reperito uno spazio adeguato, soprattutto nel centro urbano, ove erigere l'agognato edificio. Il teatro diventa il simbolo per eccellenza del prestigio sociale che, come s'è più volte detto, risponde pienamente al bisogno di protagonismo culturale delle classi sociali emergenti, il nuovo patriziato prima eppoi la borghesia, nel momento in cui assumono il potere economico. E ancora, come ci ricorda Emilio Vita nel recente volume dedicato al teatro di Russi, il teatro diviene il testimone sostanzioso ed eloquente di una storia collettiva, il luogo della festa e della socievolezza in cui una comunità afferma ed esalta il proprio stile di vita. Dunque la storia di ogni singolo teatro comincia molto tempo prima che se ne decida la sua edificazione: inizialmente prende forma nell'ambito culturale della città che lo vuole, successivamente è destinato a portare con sé la storia degli spazi teatrali che l'hanno preceduto.
Nel 1995 si rese necessario aggiornare e integrare quel primo censimento, in quanto da un lato numerosi risultavano i teatri restituiti alle originarie funzioni grazie all'impegno di amministrazioni sensibili e attente alla conservazione e al recupero del bene, dall'altro era opportuno schedare quelle sale escluse, per varie ragioni, dalla prima indagine. Anche in questo caso i risultati furono raccolti in un catalogo e presentati attraverso una mostra presentata prima a Ferrara, nell'ambito del III Salone del restauro, e successivamente a Bologna nelle sale espositive del Museo civico archeologico e a Cervia presso i Magazzini del sale. Inoltre i dati raccolti furono resi disponibili attraverso un archivio informatizzato tuttora consultabile dalla sezione banche dati del sito IBC.
Nella medesima occasione, inoltre, si ritenne opportuno promuovere un convegno dedicato alle complesse problematiche poste dal recupero dei teatri storici. In particolare il dibattito fu centrato sulla severa applicazione della normativa antincendio e di sicurezza richiesta dagli organi preposti alla vigilanza dei luoghi di pubblico spettacolo, in quanto questa applicazione rappresentava e rappresenta tuttora un elemento non trascurabile di ulteriore difficoltà nel recupero di una struttura estremamente delicata e complessa quale è quella di un teatro, costituita in massima parte da materiali quali legni, stucchi, cartapeste, tessuti. Materiali che se da un lato hanno contribuito a rendere questi edifici esteticamente pregevoli ed acusticamente perfetti - tanto da far paragonare la sala teatrale alla cassa armonica di un violino - dall'altro ne aumentano notevolmente i rischi di incendio.
Nel corso di questa seconda indagine furono rilevati ottantasette teatri, di questi oltre una trentina erano chiusi per molteplici ragioni. Per alcuni era in corso un restauro conservativo e di "messa a norma" degli impianti che di lì a poco si sarebbe concluso (è il caso del "Bonci" di Cesena e del Teatro "Malatesta" di Montefiore Conca - Rimini); per altri c'era già un progetto esecutivo o ancora, da parte delle amministrazioni locali, il fermo intento di procedere al totale recupero del teatro, frenato solo dalla mancanza di finanziamenti; in taluni casi si trattava di teatri chiusi da oltre tre decenni e in uno stato conservativo sempre più problematico.
A distanza di sette anni ci pare più che opportuno fare brevemente il punto della situazione, in ordine cronologico: numerosi, infatti, sono i teatri nel frattempo completamente recuperati e restituiti alle funzioni originarie, mentre per altri il restauro e l'adeguamento impiantistico sono ancora in corso ma con un preciso piano esecutivo che ne ha predefinito tempi e modalità, e pertanto si stanno avviando a positiva conclusione. Quanto prima sarà inoltre aggiornato, con i dati recentemente acquisiti, il sopra citato archivio informatizzato contenente i dati relativi ai teatri storici della nostra regione e consultabile dal sito web dell'IBC e dal Cartellone regionale.


Sede nel suo periodo migliore di rilevanti rappresentazioni liriche, di prosa e operette, il Teatro sociale di Finale Emilia (Modena), edificato tra il 1905 e il 1910 su progetto dello studio "Giorgi e Rognoni" di Modena, segue nel primo dopoguerra un destino comune a molti altri teatri storici: viene utilizzato prevalentemente come cinematografo fino a scadere in una programmazione d'infimo genere, poi vive ancora una breve stagione teatrale prima della chiusura per inagibilità nel 1984. Acquisito completamente dal Comune, in quanto alla metà degli anni Novanta era ancora in parte proprietà degli eredi della "Società per l'erezione di un Teatro Sociale in Finale Emilia", è stato completamente recuperato in tempi assai stretti (progetto Artistudio di Sassuolo) e nuovamente inaugurato il 20 gennaio 1996. Un recupero reso certamente più agile da una situazione strutturale non particolarmente compromessa. L'intervento ha riguardato, oltre che la messa a norma di impianti e servizi, il rifacimento di quelle infrastrutture gravemente danneggiate quali platea e palcoscenico (quest'ultimo risultava infatti inidoneo a sopportare i carichi di un palco di discrete dimensioni) e il rinnovo degli arredi al fine di renderli omologabili; il ripristino dei paramenti murari esterni ha quindi completato l'intervento.


Contiamo di riservare in altra sede maggiore spazio al Teatro comunale di Sogliano al Rubicone (Forlì-Cesena), purtroppo non censito nel corso dei suddetti rilevamenti. Fondato nel 1867 in un'ala di uno storico palazzo appartenuto a don Orazio Antimi, ma originariamente parte di un convento francescano risalente ai tempi di Ramberto Malatesta, è stato completamente restaurato e riaperto al pubblico il 15 novembre 1997: di non grandi dimensioni, ha una capienza di centotrentuno posti.

​Al momento di mandare in stampa il secondo repertorio dei teatri storici dell'Emilia-Romagna si annunciava l'imminente ripristino del teatro di Sant'Agata Bolognese. Si tratta di una deliziosa sala "alla francese", ossia con un'unica balconata sovrastante la platea, allestita all'interno del Palazzo comunale su progetto dell'ingegnere Emanuele Branchini nel 1884-'87. Il teatro, inaugurato il 27 ottobre 1888 con la rappresentazione del Pipelet, fu attivo fino al secondo dopoguerra: l'inagibilità dei locali del retropalco ne determinò la chiusura e una diversa destinazione d'uso. Platea e proscenio furono adibiti a sala del Consiglio, senza per fortuna apportare all'impianto originario sostanziali modifiche, mentre il palcoscenico, adeguatamente tamponato, e gli ambienti del retropalco, furono destinati ad ospitare l'ufficio tecnico comunale.
Il complessivo restauro che a partire dalla metà degli anni Ottanta ha interessato la settecentesca residenza municipale di Sant'Agata ha previsto, tra gli altri interventi, il recupero del teatro e la restituzione alle sue funzioni originarie. Il progetto dell'architetto bolognese Roberto Fregna ne ha così ripristinato il palcoscenico, la scala autonoma di cui il teatro era dotato fin dalla sua origine, ha ricavato nuovi camerini e ne ha adeguato l'impiantistica secondo la normativa vigente. Il restauro delle decorazioni pittoriche e a stucco, e i nuovi arredi, lo hanno reso pienamente godibile oltre che perfettamente agibile. Intitolato ai Bibiena - la tradizione vuole che avessero una residenza a Sant'Agata di fronte all'Oratorio dello Spirito Santo - il redivivo teatro è stato inaugurato nel giugno del 1998, con una giornata interamente dedicata alla musica e allo spettacolo.
Principale peculiarità di questa sala è di essere piccola e raccolta (cento in tutto i posti a disposizione nell'elegante platea) pertanto da parte della direzione artistica del teatro, affidata alla competenza e all'entusiasmo di Romeo Grosso, si è scelto di indirizzarne l'attività in un ambito decisamente colto. La stagione si apre a settembre, con il lavoro di studio e ricerca del teatro di base rivolto alle compagnie del territorio, e quindi prosegue da novembre alla primavera con la stagione di prosa, che consta principalmente in teatro di narrazione e commedia dell'arte; a maggio la stagione concertistica è dedicata soprattutto alla più raffinata musica contemporanea, al jazz, al tango, ecc. Un'accorta politica dei prezzi, più contenuti rispetto ad altri teatri, ha fatto affluire un pubblico numeroso; come al "Petrella" di Longiano, inoltre, l'attuazione del sistema "ospitalità in cambio di spettacolo" ha consentito di portare su questa ribalta numerose importanti anteprime.


Con un formidabile happening di tre giorni, dal 18 al 20 dicembre 1998, è stato riaperto il Teatro Herberia di Rubiera (Reggio Emilia), costruito alla metà degli anni Venti su impulso di Umberto Tirelli - un ricco possidente originario del paese, dotato di notevole versatilità intellettuale e noto per le sue attività di letterato, umorista, caricaturista e scultore - e da una società formata a questo scopo da alcuni rubieresi. Inaugurato nel 1926 con la rappresentazione di una memorabile Bohème, il Teatro Herberia viene trasformato in cinematografo alla fine della seconda guerra mondiale, dalla metà degli anni Sessanta è chiuso in quanto necessita di rilevanti opere di recupero e di messa a norma; non più utilizzato, inizia per questo luogo di spettacolo un inesorabile declino, con rischio tra l'altro di un definitivo smantellamento e una diversa destinazione d'uso. Dal 1988 l'Amministrazione comunale avvia tutte quelle azioni che, a partire dall'acquisizione dell'immobile di proprietà degli eredi degli antichi fondatori, ne determineranno il definitivo recupero.
Si è trattato di un complesso intervento, condotto sotto la direzione dell'architetto Ada Defez (purtroppo prematuramente scomparsa), che da un lato si è preoccupata di conservare scrupolosamente le caratteristiche tipologiche tardo liberty del teatro, dall'altro ha avuto come principale obiettivo introdurre una serie di accorgimenti tecnologici e funzionali d'avanguardia sulla base di specifiche indicazioni fornite da esperti e tecnici dello spettacolo dal vivo, al fine di rendere lo spazio scenico, la buca dell'orchestra e la stessa platea, ampiamente flessibili e polifunzionali, in particolare verso il teatro contemporaneo. Un sofisticato sistema di piattaforme idrauliche consente di modificare opportunamente il palcoscenico - ricostruito nelle forme originarie con sottopalco e fossa per l'orchestra - trasformandolo in teatro laboratorio, con il piano di platea interamente dedicato alla scena, o ancora fargli assumere la pianta centrale. Il pubblico pertanto, a seconda della configurazione scenica adottata, può essere disposto in modi diversi, ovviamente a seconda dei casi varia la capienza della sala che nella sua massima estensione può accogliere quattrocentoventi spettatori.


Il Teatro comunale di via Santa Franca a Piacenza, più noto come Teatro dei Filodrammatici (di cui fu la sede fin dalla sua fondazione avvenuta nel 1908), è stato riaperto al pubblico il 25 ottobre 2000. Alla Filodrammatica piacentina, nata ufficialmente nel 1825 con decreto di Maria Luigia ma già attiva da una quindicina d'anni prima, in principio era stato concesso l'uso del salone posto nel Collegio dei Mercanti, attualmente sede comunale, opportunamente trasformato in teatro. Quando il Comune stabilì di trasferire i propri uffici nel suddetto Collegio, ai filodrammatici fu destinata la sede di via Santa Franca. Si trattava di un complesso monastico di origini cinquecentesche, fondato dalle monache cistercensi e soppresso da Napoleone nel 1810. Maria Luigia lo cedette al Comune, che lo destinò dapprima alla guardia nazionale, quindi ai pompieri ed infine alla scuola di musica. Se il monastero divenne sede del Conservatorio la chiesa - a croce latina con un'unica navata e volta a botte - nei primi del Novecento fu trasformata in un elegante teatro con facciata di gusto liberty, su progetto dell'ingegner Gazzola.
All'interno l'inserimento di un ampio palcoscenico e di una sala con pianta a ferro di cavallo e doppio loggiato non ne modificò sostanzialmente la struttura primitiva ma ne divenne piuttosto una seconda pelle. Il Teatro Laico (solo successivamente assunse la denominazione "dei Filodrammatici") venne inaugurato il 19 febbraio 1909 con Romanticismo di Roventa. Questo teatro è rimasto attivo fino alla fine degli anni Settanta, sostituendo addirittura il Teatro municipale nella stagione 1978-'79, quando fu chiuso per restauri. Nel maggio 1980 nel "Teatro della Filo" si tenne l'ultima rappresentazione, poi le crepe della volta e gli impianti fatiscenti ne consigliarono la chiusura, in attesa che opportuni interventi rendessero la sala agibile e sicura.
Nel 1926 il teatro è stato oggetto di un primo intervento di recupero: in quell'occasione furono riammodernati arredi e servizi, fu ridipinto il plafond ad opera del decoratore Silvio Labò, il quale realizzò su un fondo bianco un insieme di motivi architettonici e specchiature floreali completamente diverso dal primitivo decoro in stile primonovecento.
Il restauro del Teatro di via Santa Franca è stato avviato nel settembre 1997, sotto la direzione dell'architetto Ilda E. Bee, coadiuvata dall'ingegner Ferdinando Soppelsa di Milano: l'intento principale è stato riportare l'edificio al suo stato originario, ripercorrendo il progetto di Gazzola fin nei più piccoli particolari. Lampade, pavimenti, infissi, porte, poltrone della sala (duecentosettanquattro posti), tutto è stato ricostruito cercando accuratamente gli artigiani in grado di fare questi lavori. Insomma un complesso intervento "a tutto campo", che ha visto il risanamento delle opere murarie, la revisione delle strutture ai fini dell'adeguamento alle recenti norme di sicurezza e il totale rifacimento impiantistico, infine il recupero dell'elemento che maggiormente caratterizza questo teatro: l'elegante facciata liberty.
I delicati interventi sulle parti decorative (palchi, colonne, boccascena e volta dipinta) vengono avviati ai primi di ottobre del '99 e si concludono nel gennaio successivo. Le ditte Silvia Ottolini di Piacenza e Officinarte di Bologna, a cui sono stati affidati, si trovano ad affrontare una situazione disastrosa. In particolare la struttura lignea, formata prevalentemente da legni sottili e, nelle specchiature centrali dei palchi, incurvati, nel corso degli anni aveva fortemente risentito dei movimenti propri del materiale e degli sbalzi termici, ma anche di sostituzioni e manomissioni intervenute di volta in volta per rendere la struttura funzionale all'uso. La materia risultava poi ulteriormente indebolita da rifacimenti non consoni alla natura dei vari decori: festoni in cartapesta e capitelli in tela e gesso spesso integrati con interventi maldestri. È evidente che una struttura così complessa, realizzata con materiali tanto delicati, ha favorito il distacco di consistenti porzioni lignee e l'apertura di numerose fenditure e il generale degrado. Anche nel trattamento delle decorazioni pittoriche del velario della sala è stato indispensabile procedere con estrema cautela, per le caratteristiche dei materiali utilizzati nei rifacimenti degli anni Trenta: in fase di pulitura ci si è limitati ad una rimozione accurata ma superficiale della polvere, mentre con maggior impegno si è lavorato sul fissaggio del colore.
Il sipario di rilevante valore artistico che raffigura le visioni di Vittorio Alfieri - realizzato da Bernardino Pollinari, proveniente dal teatro allestito nel salone del Collegio dei Mercanti e solo successivamente collocato in via Santa Franca - è stato sapientemente restaurato dal Laboratorio degli Angeli di Maricetta Parlatore.


Il Teatro comunale di Russi di Romagna (Ravenna) - con sala a ferro di cavallo, due ordini di palchi e loggione - è stato edificato negli anni 1885-'88 su progetto dell'ingegner Giuseppe Tramontani. Inaugurato il 24 settembre 1887 con il Rigoletto di Verdi, è stato attivo fino alla fine degli anni Sessanta: ultima significativa rappresentazione il Werther di Massenet andato in scena nel 1968. Negli anni del secondo dopoguerra aveva già subito rilevanti manomissioni in quanto era stato sbrigativamente adattato a fungere soprattutto da sala cinematografica. La chiusura si è protratta per trentadue anni e ha fatto sì che il teatro raggiungesse uno stato di degrado assai deprimente, rimanendo nonostante ciò assai vivo nella memoria collettiva dei russiani, anche di coloro che per età anagrafica non vi avevano mai messo piede. Poi la tenacia di amministratori che avevano fatto della cultura uno dei vettori del loro mandato e l'opera di sensibilizzazione condotta da locali associazioni, quali per esempio Le Belle Bandiere, sono stati l'elemento propulsore che ha portato nel giro di un quinquennio al pieno recupero del teatro.
Nel 1995 gli architetti dello studio Arc-Lab di Ravenna, Gabriella Lambertucci e Mara Bottoni, procedono ad un accurato rilievo del manufatto e ne redigono il progetto di massima, consentendo per la prima volta di avere un preciso quadro della sitazione su cui pianificare l'intervento di recupero. Il progetto è stato elaborato con l'intento di conservare inalterata, per quanto possibile, la tipologia e la dislocazione degli spazi, riportando la struttura alla conformazione originaria, storicamente documentata, ma adeguandola al tempo stesso alle esigenze dettate dalle normative di sicurezza antincendio, al fine di ottenerne la piena agibilità.
Platea e palchi, per un totale di trecentocinque posti, sono stati dotati delle necessarie uscite di sicurezza, inserendo due nuove scale antincendio al primo ordine e utilizzando a tal fine il cortile della chiesa annesso al teatro. Maggiori modifiche sono state necessarie nell'area del palcoscenico, che mancava dei camerini e dei servizi di scena. Si è scelto di utilizzare l'ampio spazio posto sotto il palcoscenico, avendo cura di adottare oppurtuni espedienti al fine di non alterare in modo irreversibile l'acustica della sala teatrale. Il progetto esecutivo è stato redatto nel 1997 e nel giugno dell'anno successivo sono state avviate le opere edili; gli interventi elettrici ed idraulici e antincendio, affidati a tre distinte ditte, si sono conclusi due anni dopo. Il completamento delle finiture e degli arredi eseguito dopo un'approfondita indagine sulla documentazione conservata presso l'Archivio comunale ha consentito la riapertura del teatro il 7 aprile 2001 con un concerto inaugurale. Per una più approfondita conoscenza di questo intervento si veda l'ampio saggio di Gianfranco Casadei, Il restauro: un'opera d'arte contenuto nel bel volume Russi: una città il suo teatro a cura di Emilio Vita (citato nella bibliografia finale).


Due sono i teatri di cui si annuncia ormai prossima la conclusione degli interventi di recupero. Il primo è il "Bonifazio Asioli" di Correggio (Reggio Emilia), la cui nuova stagione s'inaugura il 15 novembre con Sior Todero Brontolon di Goldoni messo in scena dal Teatro Franco Parenti - Teatro de Gli Incamminati. L'"Asioli" è stato chiuso nel 1991 per opere di adeguamento alle norme di sicurezza, successivamente ha subìto ingenti danni a causa dei rovinosi terremoti del 1996 e del 2000, danni a cui l'intervento attualmente in fase conclusiva ha posto rimedio.


Il completamento dei lavori di restauro al Teatro comunale di Pieve di Cento(Bologna), diretti dagli architetti Guido Cavina e Roberto Terra di Bologna, è previsto per il dicembre dell'anno in corso. Questo teatro, sito all'interno della residenza municipale, ha sostituito a metà Ottocento un impianto preesistente ed ha mantenuto sostanzialmente invariato l'assetto progettato da Antonio Giordani, costituito da cavea a ferro di cavallo con tre ordini di palchi sovrapposti con parapettate lisce e sporgenti raccordate ad un palcoscenico di contenute proporzioni da un arcoscenico architettonico, e dotato inoltre di alcuni piacevoli ambienti di ridotto.
Riferiscono le cronache che fin dal secondo decennio del Novecento era scarsamente utilizzato e nel 1929 fu chiuso per motivi di sicurezza. Nel corso del secondo conflitto mondiale subisce dei danni e nel 1954 l'ufficio tecnico del Comune provvede ad una serie di interventi conservativi e di adeguamento impiantistico al fine di renderlo praticabile: in quell'occasione viene eliminato il palco e sostituito da una pedana per l'orchestra, poiché nel teatro si tengono veglioni a Carnevale e Capodanno e serate danzanti. Una moda che passa velocemente col mutare dei costumi sociali, quindi il teatro cade nuovamente in disuso riaprendo così una fase di inesorabile decadimento.
Negli anni Ottanta l'Amministrazione pievese affronta nuovamente il problema della conservazione e del recupero funzionale di questo bene. Il teatro è quindi interessato da una serie di interventi di complessivo consolidamento strutturale, rifacimenti alle coperture e parziale redistribuzione di servizi e vani accessori, che più ampiamente coinvolgono l'intera residenza municipale. Tuttavia in quell'occasione non vengono affrontati gli adeguamenti tecnologici e impiantistici, né sono affrontate le opere di finitura e i restauri delle decorazioni.
Solo nel 2000 viene avviato l'organico progetto di recupero attualmente in via di completamento. Al fine del pubblico utilizzo del bene l'intervento ha avuto il duplice obiettivo di restituire integralmente sala teatrale e ambienti ad essa collegati alle originarie funzioni, conservandone sia l'assetto tipologico e spaziale, sia l'insieme degli apparati decorativi che vi si conservano. Inoltre si è provveduto all'adeguamento dei servizi e delle dotazioni impiantistiche, tecnologiche e di sicurezza, nell'indispensabile rispetto della normativa di legge, recuperando, se possibile, quanto esisteva ed era stato predisposto nel corso dei precedenti interventi, integrandolo e potenziandolo dove necessario. Come per esempio per i locali tecnici e di servizio agli spettacoli, ricavati negli spazi del sottotetto attigui al palcoscenico (quest'ultimo ricostruito con struttura lignea e sormontato dalla graticciata).
Nel consolidamento strutturale dei palchi si è provveduto alla rimozione delle sovrastrutture e dei puntelli provvisori e al ripristino degli elementi lignei trave-pilastro-assito, conservando inalterate le primitive quote di calpestio. Contribuirà alla vivezza della memoria storica del teatro il mantenimento di quegli arredi tecnici che ci sono pervenuti, quali le lampade delle balconate e la plafoniera centrale; sono invece andati perduti gli apparati tessili e gli arredi novecenteschi che saranno reintegrati. La capienza prevista è di centoquarantanove posti. Risulta ormai completo ad opera della restauratrice pievese Licia Tasini l'intervento al bel sipario di Adeodato Malatesta raffigurante Esopo che parla ai pastori, che troverà nel teatro un'opportuna collocazione. L'apparato decorativo è restaurato dallo Studio Emma Biavati di Bologna.


Tempi più lunghi sono invece necessari per portare a termine i lavori, ormai avviati, dei seguenti impianti. Nel 1989 l'Amministrazione comunale di Copparo(Ferrara) ha acquistato il teatro fondato da Enrico De Micheli nel 1908 e che, attivo fino al 1970, ha rappresentato per questo territorio un polo culturale di notevole entità. L'attuale configurazione del teatro è dovuta ai lavori di ricostruzione e ampliamento voluti dallo stesso proprietario nel 1923 e diretti dall'ingegnere ferrarese Mario Chinarelli. Si tratta di un tipico esempio di edificio teatrale primonovecentesco, la cui sala, caratterizzata da semplici ma eleganti decorazioni in stucco di gusto vagamente liberty, è costituita da platea, tre ordini di palchi con andamento ad U, golfo mistico e un ampio palcoscenico dotato di quei servizi che lo rendono adatto ad ogni tipo di spettacolo.
Il progetto di restauro - affidato dal Comune all'architetto Ettore Vio dello Studio associato "Vio-Fassina" di Mestre nell'autunno 2000 - si propone, oltre alla necessaria messa a norma dell'impianto e all'adeguata valorizzazione degli elementi decorativi che arricchiscono le superfici, il pieno recupero dei valori culturali che caratterizzano l'immobile, ripristinando quindi sia la conformazione della macchina teatrale che gli spazi riservati al pubblico, con particolare cura alla visibilità e all'acustica. La conclusione dell'intervento, avviato nel maggio di quest'anno, è prevista per la primavera 2004. Notizie più dettagliate su questo intervento possono essere reperite nel sito web del Comune di Copparo.


Risale al 1962 la dichiarazione di inagibilità del Teatro "Giuseppe Verdi" diFiorenzuola d'Arda (Piacenza) e la sua conseguente chiusura. A metà degli anni Ottanta l'ufficio tecnico comunale ha curato una serie di interventi volti a scongiurare il definitivo degrado del bene: in quell'occasione è stata revisionata l'intera copertura ed intonacato esternamente l'avancorpo centrale. Tuttavia solo alla fine degli anni Novanta vengono avviate quelle opere, tuttora in corso, volte al definitivo recupero del fabbricato sotto la direzione dell'architetto Marcello Spigaroli e dell'ingegner Giovanni Zilli di Fiorenzuola.
Progettato dall'architetto piacentino Gian Antonio Perrau e inaugurato nell'ottobre del 1853 con la rappresentazione dell'Attila di Verdi, questo teatro è stato oggetto negli anni 1911-'16 di un complesso intervento di adeguamento, messa in sicurezza e risanamento igienico che ha interessato il sistema palchi, loggione, proscenio, il palcoscenico con i relativi vani di servizio e i locali d'ingresso. In quell'occasione inoltre sono stati completamente rifatti l'apparato decorativo e gli arredi, conferendo al teatro quell'aspetto che tuttora conserva senza comunque alterarne la tipologia ottocentesca, caratterizzata da cavea a ferro di cavallo, tre ordini di palchi e loggione.
Dei lavori attualmente in corso si è concluso nell'autunno 1998 il primo stralcio, con il quale si è provveduto al recupero della parte anteriore del teatro, consentendone così un parziale utilizzo. Nell'atrio d'ingresso vengono allestite mostre temporanee, mentre al primo piano c'è la disponibilità di una sala da cento posti per concerti, prosa, conferenze, e nel sottotetto è agibile una sala prove. Dalla primavera del 2001 si lavora al recupero della cavea, quindi nel prossimo anno sono previsti i lavori di adeguamento impiantistico e alle apparecchiature sceniche; infine sarà la volta del restauro dell'apparato decorativo e del ripristino degli arredi. La riapertura è prevista per il dicembre 2004.


Gli interventi fin qui descritti sono di norma assai onerosi e richiedono, da parte delle amministrazioni locali proprietarie del bene, sforzi notevoli. Le prassi seguite di volta in volta si differenziano a seconda dei casi e dell'entità della spesa: giova ricordare che non sono comunque mancati contributi da parte di alcune fondazioni bancarie e della stessa Regione Emilia-Romagna.


Bibliografia


Teatri storici in Emilia-Romagna, a cura di S. M. Bondoni, Bologna, Grafis, 1982.
Le stagioni del teatro: le sedi storiche dello spettacolo in Emilia-Romagna, a cura di L. Bortolotti, Bologna, Grafis, 1995.
Teatri storici: dal restauro allo spettacolo. Atti del Convegno di Ferrara, a cura di L. Bortolotti e L. Masetti Bitelli, Fiesole, Nardini Editore, 1997.
G. Cavina - R. Terra, Il Teatro Comunale di Pieve di Cento tra memoria e conservazione, in Il teatro e la musica a Pieve di Cento, a cura di A. Orlandini, Bologna, Costa Editore, 2000, pp. 223-233.
Russi: una città il suo teatro, a cura di E. Vita, s.l., Danilo Montanari Editore, 2001.
Nuova vita per il "Verdi": il progetto di recupero funzionale e di restauro del teatro di Fiorenzuola, "Edilizia piacentina", 2, 2002, pp. 33-37.
Iniziati i lavori allo storico Teatro De Micheli: il restauro restituirà alla città un importante luogo di cultura, "Copparo", 1, 2002: l'articolo, che contiene la storia del teatro di A. Pampolini e la relazione generale architettonica di E. Vio, è direttamente consultabile al sito web del Comune di Copparo.
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